un progetto di
Ombre della città
2017
Vincenzo Busà
Siamo davanti a un murales diffuso, a una riflessione sul tempo e l’esistenza che si dipana su muri diversi, in angoli ora più nascosti ora più visibili della città. Immagini leggere di ciò che è stato o che potrebbe ancora essere.
Il non finito dà luogo ad immagini sospese, incompiute, che utilizzano il non-finito come scelta volontaria e consapevole, unico modo per esprimere anche il non-detto (dall'artista), il non-visto (dall'osservatore), un non-finito, quindi, di valenza fisica e psicologica, un modo per porre delle domande e sollecitare delle risposte, perché più il discorso dell'artista è incompiuto ed indefinito, più stimola lo spettatore a completarlo e ad interpretarlo.
1- Ombre
L’ombra portata è stata utilizzata dagli artisti “solo” per definire lo spazio, suggerire le distanze reciproche tra i vari elementi e dare consistenza agli oggetti della scena. Qui invece l’ombra non è conseguenza della luce ma il suo scopo primario. Si immagina che la luce venga manipolata per dare forma alle ombre e che queste, dunque, siano più importanti della luce.
In questo caso la luce crea le ombre di due oggetti mancanti, una bici priva di sellino e ruota (forse rubati) e un lampione, posto dal lato opposto della strada; un murales fatto di assenza, di ombra portata come opera a sé.
Lo sfondo è la luce perché, come diceva Cezanne, è necessario "costruire col colore” le parti mancanti.
2-Ho distrutto i migliori panni della mia vita
In questo muro, le ombre di panni appesi, oggetti semplici - sintetizzati il più possibile per arrivare ad un effetto di estraniazione – servono a farci chiedere: dove sono i panni? Dove sono io.
Le ombre degli indumenti intimi appesi, immobili, sono posti di fronte allo spettatore; le altre quelle di una felpa e di un pantalone, sotto l’azione del vento, sono proiezioni di oggetti che stanno dietro di lui, ma non localizzati precisamente.
La semplicità diventa uno strumento che rende “complicata” la visione della prospettiva nell’opera, portandoci così, ad un senso della profondità senza l'impiego di accorgimenti prospettici.
In questa spazialità “nascosta” lo spettatore si trova sempre in bilico: un gioco, uno scherzo o una rappresentazione errata?